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In cosa consisteva praticamente lo Harakiri?



Prima di tutto chiariamo il termine. Harakiri (腹切) è un termine composto dalla parola hara, "ventre" il punto vitale per eccellenza nella medicina orientale e kiri, sostantivo del verbo kiru "tagliare", quindi il "taglio del ventre". Esso però è la versione volgare del termine Seppuku (切腹), o meglio la lettura kun degli stessi kanji invertiti. Quindi un samurai avrebbe detto Seppuku e non Harakiri. Si trattava del suicidio rituale per onore, eseguito per scelta o imposto dal proprio signore. Si applicava solitamente per purificare il proprio onore da un'onta. Spesso i samurai erano onorati di poterlo eseguire a tal punto che la punizione maggiore era negare ad uno di essi di eseguirlo quando questi riteneva che il suo onore fosse ormai perso.

Il cerimoniale. Se ufficiale, il suicida vestito di bianco si inginocchiava su un baldacchino anch'esso bianco. Leggeva la poesia di addio scritta per l'occasione. Abbassava i lembi del kimono rimanendo a torso nudo. Impugnava il wakizashi (spada corta) con una mano all'elsa e l'altra sulla lama nell'aggancio con quest'ultima, con un fazzoletto di seta bianca. Puntava al ventre, infilava e tagliava.


Il dolore sopportato per tutta la durata del taglio dimostrava la catarsi dal disonore, a questo punto un compagno fidato, in attesa di fianco a lui, poneva fine al suo sacrificio decapitandolo. Questo era un ruolo di grande onore.

Tecnicamente il suicida indicava uno o due tagli. Nel primo caso il taglio era unico ed orizzontale: la lama entrava a sinistra e tagliava il ventre per tutta la sua lunghezza fino al punto speculare di destra. Nel secondo caso, la lama dopo aver compiuto il taglio orizzontale veniva ruotata, saliva, veniva ruotata ancora per scendere verso il basso.


Molte scuole di Kenjutsu allenano ancora il kata del Seppuku, per insegnare quale fosse la metodologia corretta dell'esecuzione.

L'ultimo Seppuku pubblico dell'era moderna fu quello del grande scrittore Mishima Yukio nel 1970.

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